Uno dei temi che più vengono dibattuti in merito al Bitcoin riguarda non tanto il suo valore o il suo mercato, ma il consumo di energia che viene impiegata per produrlo. Contrario a qualsiasi logica ambientale, è questo il succo del discorso contrario all’utilizzo della moneta virtuale, il Bitcoin porterebbe ad un grande dispendio energetico, che genererebbero una quantità di 63 megatonnellate di CO2 all’anno. Ma è vero tutto ciò? Secondo uno studio specifico, volto a smentire quanto dichiarato, non lo è: ecco quali sono i dati su cui bisogna basarsi per la considerazione del consumo di energia del Bitcoin.
Lo studio sul consumo di energia del Bitcoin
Se c’è una dinamica comune che viene portata avanti da quando il Bitcoin è diventato celebre – come si evidenzia anche in criptovalute24.com – è, sicuramente, la volontà da parte di piattaforme, enti e critica di riuscire ad evidenziare le difficoltà di un sistema che tende, invece, a rafforzarsi continuamente, a causa delle sue caratteristiche che lo rendono incredibilmente appetibile sul mercato, e associabile a piattaforme, enti, realtà commerciali di diverso tipo e tanto altro ancora.
Tra le nuove dichiarazioni che sono state portate avanti ci sono quelle secondo le quali il Bitcoin sarebbe responsabile di un grande processo di produzione tale da disperdere energia e, allo stesso tempo, avere un grande e negativo impatto ambientale. Per questo motivo, sono stati realizzati degli studi in grado di smentire questa tesi, partendo dal presupposto che fosse falsa. Gli studi hanno evidenziato che è la Mongolia centrale la regione particolarmente responsabile del processo di mining e quindi, di conseguenza, del 25% delle emissioni totali.
L’impatto ambientale del Bitcoin
Sulla base di quanto detto precedentemente, vale la pena sottolineare anche le dichiarazioni che sono state rilasciate, in materia di impatto ambientale. In effetti, una delle maggiori critiche che sono state mosse al Bitcoin riguardano non tanto il consumo di energia, ma il rilascio di CO2 e, di conseguenza, l’impatto ambientale negativo da parte della moneta che non rispetterebbe – di conseguenza – gli standard previsti dalle convenzioni.
Anche in questo caso, per quanto le critiche abbiano trovato dei sostenitori, non sono state confermate da fatti reali, in base a quanto è stato evidenziato in materia di impatto ambientale del Bitcoin: “Da un lato alcuni fanno allarmismo dicendo che non riusciremo a osservare l’Accordo di Parigi solamente per via del Bitcoin. Dall’altro lato, però, molti esponenti della comunità di Bitcoin sostengono che la maggior parte del mining viene effettuato con energia pulita e che il suo impatto non è elevato.”
Non solo: i ricercatori hanno sottolineato che gran parte delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosferica derivano dall’utilizzo dell’energia per produrre le monete virtuali (un processo che, come sottolineato dalle stime, si interromperà nel 2021 con la produzione delle ultime monete), mentre soltanto l’1% viene impiegato per la realizzazione del cosiddetto processo di mining, ovvero quello che porta ad evidenziare le transazioni finanziarie nella blockchain. Addirittura, gli stessi studi hanno sottolineato che il 74,1% del mining di Bitcoin avviene grazie all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, confutando definitivamente l’ipotesi secondo la quale l’impatto ambientale sarebbe il tallone d’Achille del Bitcoin.